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Il ramo d’oro: il cibo nei rituali magici

Postato il 16 Dicembre 2016 da Elide Messineo
Il ramo d'oro: il cibo nei rituali magici
James G. Frazer è considerato da molti il fondatore dell’antropologia moderna, nel suo celebre libro “Il ramo d’oro” racconta miti e pratiche religiose diffusi in tutto il mondo, dal folklore europeo passando per le civiltà sudamericane e gli aborigeni australiani.

Il cibo ha avuto da sempre un ruolo centrale nella vita dell’uomo e anche in questo caso non mancano i rituali primitivi, in cui diventa un elemento fondamentale per farli andare a buon fine. Il libro di Frazer ha inizio da un’antica leggenda italica, quella di Diana e Virbio, ambientata tra i colli albani, sul lago di Nemi, nella zona in cui oggi si trova Ariccia (famosa in tutto il mondo per la porchetta, per restare in tema). All’interno del santuario di Nemi c’era un albero i cui rami non potevano essere spezzati, era proibito a tutti tranne che a uno schiavo fuggitivo che avrebbe potuto coglierne uno, guadagnandosi così il diritto di battersi contro il sacerdote, allora sovrano del luogo, per riuscire a spodestarlo. In occasione della festa annuale della dea Diana era proibito cacciare, durante la cerimonia purificatrice i giovani allestivano un banchetto in cui non mancavano il vino e la carne di capretto, “dolciumi bollenti serviti su foglie di vite e mele ancora attaccate in grappoli al loro ramo”. Da questo antico mito prende il via l’esplorazione di numerosi rituali, che Frazer suddivide in vari modi, tra maghi, elementi della natura, sacrifici, il culto degli alberi, capri espiatori ed altri miti.

Magia omeopatica, rituali e stregoneria

Questo tipo di magia si basa su un principio di finzione, sulla simulazione simbolica di ciò che si vuole ottenere, di solito tramite un’immagine e non sempre a scopo benefico. Nelle tribù australiane, all’interno dei clan totemici, i rituali consistevano nell’imitare gli animali che si volevano moltiplicare per aumentare le scorte di cibo, come gli emù. Nel Caithess, in Scozia, per esempio, se la pesca scarseggiava si usava fingere di buttare una persona in acqua come se fosse un pesce, per poi “ripescarla” e vedere i pesci reali finalmente abboccare. In alcune zone dell’Italia le donne non potevano filare lungo la strada maestra nè portare il fuso per paura di danneggiare il raccolto. Molte altre tribù avevano delle proibizioni in fatto di cibo, spesso sulla base della vita dell’animale. Come in Madagascar, dove non si poteva mangiare la carne di porcospino perché si pensava di assorbire l’animo pauroso dell’animale stesso.

Attraverso la magia telepatica, invece, molti rituali venivano assegnati alle donne mentre gli uomini erano a caccia. Se li avessero eseguiti bene, la stagione sarebbe andata altrettanto bene; al contrario, non mancavano i casi in cui le donne venivano sottoposte a rigide punizioni, se la caccia si concludeva male potevano essere accusate di adulterio, talvolta venivano punite addirittura con la morte. A Sumatra, per esempio, le donne dovevano seminare il riso portando i capelli sciolti, per garantire un raccolto abbondante. Per quanto riguarda il raccolto, fondamentale per la sopravvivenza della comunità, la donna incinta ha avuto sempre un ruolo di rilievo, in quanto simbolo della fertilità. I raccolti, ovviamente, dipendevano in primis dalla pioggia ad anche in questo caso non mancano i rituali più disparati e le applicazioni del potere magico sui fenomeni atmosferici. I maghi della pioggia erano diffusi in ogni parte del mondo, dai Natchez del Nord America fino a greci e macedoni. Per la buona riuscita del rito stesso, si sa, nel campo della stregoneria sono stati usati erbe e piante considerate magiche, le radici e i funghi, per non parlare di quelli che avevano proprietà psicoattive. Su questo c’è molto da imparare dalla mitologia nordica, dove spesso le streghe usavano anche parti di animali per le loro misteriose pozioni.

Scaramanzia e credenze popolari

Superare il confine che separa la magia dalla scaramanzia è molto facile e in Italia ci sono tantissime credenze popolari strettamente legate al cibo. Dall’antica tradizione contadina deriva un’usanza che è in parte legata alla magia omeopatica: quella di lasciare gusci d’uovo, ossa o avanzi in genere sui davanzali delle finestre. In parte era per auspicare abbondanza, in parte per ostentarla, seppure inesistente, per suscitare l’invidia dei vicini e non sfigurare ai loro occhi. Per quanto riguarda la gravidanza, tra i vari rituali c’era anche quello di mangiare la placenta. Allora veniva offerta alle donne ritenute poco fertili o sterili, oggi viene riutilizzata per le sue proprietà benefiche e nutrienti e la cosa ha destato molto scalpore nonostante, di fatto, non sia una novità ma più semplicemente un tabù.

Se in alcuni posti la donna incinta era una figura importante e le sterili venivano ripudiate o addirittura scacciate dalla loro comunità, non mancavano i casi in cui la donna che aveva appena partorito venisse considerata impura e perciò esclusa da varie azioni, come anche quella del cucinare o la partecipazione al battesimo del suo stesso figlio. Rituali magici e scaramantici hanno avuto un ruolo centrale anche nel corteggiamento, soprattutto nel caso in cui il fidanzato dovesse guadagnarsi il benestare della famiglia della sua amata, portando a casa una quantità sempre crescente di beni fino al momento delle nozze. Uno dei rituali rimasti in vita fino ai nostri giorni è quello del lancio del riso fuori dalla chiesa all’uscita degli sposi. Un tempo si usava farlo con le nocciole, simbolo di fecondità. Il gesto del lancio riprende quello del contadino sul campo durante la semina.

Il pane, come abbiamo già visto, ha sempre avuto un ruolo centrale nella vita dell’uomo. È considerato indispensabile, è simbolo di vita, un tempo bisognava averne sempre in casa non solo per esigenze nutrizionali ma anche perché si credeva che tenesse lontane le presenze maligne. Si usava anche come moneta di scambio per l’aldilà, o meglio, veniva preparato per accompagnare il defunto durante il suo trapasso. In alcuni casi per esorcizzare la paura della morte si tenevano banchetti in presenza del defunto, che veniva servito come se fosse ancora in vita. Tra gli ingredienti immancabili c’erano le fave, secondo le credenze degli antichi egizi contenevano le anime dei morti. Incredibile come il cibo, simbolo di vita, giochi un ruolo così importante nel momento della dipartita, anche se c’è da aggiungere che spesso gioca a tutela dei sopravvissuti e nella tradizione italiana, fortemente improntata sul cristianesimo, quasi tutti i riti hanno lo scopo di tenere lontano il Maligno.

La “magia” del Natale

Il cristianesimo ha preso in prestito molti rituali di derivazione pagana facendoli suoi, andando indietro nel tempo le cose si fanno più confuse e impercettibili. Le 12 notti che separano il Natale dall’Epifania sono quelle in cui i morti possono entrare nel mondo dei vivi, esattamente come succede per Ognissanti. Quello che oggi per noi è il giorno di Natale un tempo era dedicato ai festeggiamenti per la nascita del sole. Gli attuali regali erano le tasse che i contadini dovevano pagare ai proprietari terrieri. Si credeva anche che in questo periodo i cari defunti facessero ritorno nel mondo dei vivi, quindi era importante mangiare bene, mostrare un clima familiare sereno e un’abbondanza che non facesse sfigurare, ma anche perché si credeva (secondo il principio della magia imitativa) che quello sarebbe stato il cibo che si sarebbe consumato per il resto dell’anno.

Passando all’Epifania, la donna più anziana della famiglia era considerata quella anagraficamente più vicina alla morte e quindi ai cari defunti. La sera del 5 gennaio doveva cucinare per la famiglia e i defunti avrebbero portato dei doni. Si assiste a un intreccio continuo tra la tradizione cristiana, che ha ormai preso il sopravvento su quella pagana. Nel periodo invernale era tradizione mangiare le castagne, considerate anch’esse simbolo di fertilità e si usava bere il latte per annullare ogni magia negativa. Oggi, invece, soprattutto nella tradizione anglosassone, il latte si lascia sul tavolo insieme ai biscotti la notte a cavallo tra il 24 e il 25 dicembre come dono per Babbo Natale. Il consumismo odierno, molto spesso criticato, di fronte a questi rituali ci fa pensare che non ci sia andata poi così male. Viviamo con più tranquillità lo “spirito del Natale”, seguendo le tradizioni forse con meno consapevolezza, ci trasciniamo dietro rituali antichissimi spesso senza saperlo, ma sicuramente senza lo strascico degli antichi timori e delle superstizioni.

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Foto di Federica Di Giovanni