fbpx
Radio Mercato Centrale

  • https://nr4.newradio.it:19407/stream

Retrobotteghe, il blog del Mercato Centrale

Scegli una città

Guerra alla pastasciutta! Roba da futuristi

Postato il 15 Marzo 2016 da Elide Messineo

Questa nostra cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità, sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa: essa invece vuole finalmente creare un’armonia tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani.

                                                                                                                                                                      Filippo Tommaso Marinetti, Fillia – La cucina futurista (1932)

Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti dava vita al Manifesto del futurismo con tutta l’intenzione di eliminare il “passatismo” e ricominciare da un’Italia nuova, più forte e vigorosa, capace di agire velocemente, alla larga dai dettami dei Paesi stranieri. Diversi anni dopo, nel ’32, insieme all’amico Fillìa, Marinetti decise di occuparsi anche della parte gastronomica del movimento futurista, redigendo un altro manifesto con le istruzioni principali su come alimentarsi. “Noi vogliamo una cucina adeguata alle comodità della vita moderna” diceva Jules Maincave, che aveva aderito al futurismo nel 1914, creando un taglio netto tra il nuovo movimento e la cucina classica. La stessa che oggi tutti cercano di riportare a galla per valorizzarla, un tipo di cucina lontana dalle nette contrapposizioni proposte da quella futurista: a chi verrebbe in mente di mangiare l’aringa con la gelatina di fragola?

Pastasciutta contro futuristi: 1 – 0

Filippo Tommaso Marinetti insieme a Jules Maincave aprì anche un ristorante, i due inconsapevolmente stavano gettando le basi della cucina moderna e in particolare di quella che poi sarebbe stata la cucina molecolare. Rispetto a quella futurista, però, la cucina tradizionale porta a casa un punto, perché è rimasta inalterata e tutt’oggi viene preservata e semmai esaltata. Una vittoria meritata anche per la pastasciutta, che è riuscita a superare le lotte del movimento di Marinetti iniziate nel 1931. Secondo il Manifesto della cucina futurista il cibo italiano deve trasmettere le qualità di un popolo, nella fattispecie “tenerezza, luce, volontà, slancio, tenacia eroica”. Perché la forza del popolo stesso risiede nel cibo che consuma e il demone principale da sconfiggere per muoversi nella direzione del perfezionamento è proprio la pastasciutta. Essa è accusata di provocare pessimismo e fiacchezza, secondo il napoletano Signorelli il motivo è la sua incapacità di mettere in funzione tutti gli organi durante il processo di digestione, creando così squilibri e scompensi. Una lotta collaterale è quella contro il grano, solitamente importato, accusato di far perdere valore al riso, produzione nazionale.

Personaggi di spicco come Lombroso e Foà presero le difese della pastasciutta e vennero accusati di essere “propagandisti di malinconia”, la pastasciutta era antivirile perché dopo averla mangiata appesantiva l’uomo, che così perdeva attenzione e attrazione nei confronti della donna. A dare man forte alla tesi contro la pastasciutta non era solo il costo del grano ma anche l’idea che all’estero ci fosse una connotazione negativa di spaghetti, maccheroni e pasta varia se associati agli italiani sudici, dei quali si diceva che non usassero nemmeno la forchetta. Questa associazione venne sottolineata dal giornalista Marco Ramperti ma nella difesa spietata di tutta l’ideologia futurista, Marinetti riuscì a scovare Giovanni da Vigo, un medico che nel ‘500 si era opposto al largo consumo di pastasciutta.

Le polibibite e l’italianizzazione

I futuristi, si sa, andavano di pari passo con le idee fasciste di Benito Mussolini e appoggiavano in pieno il suo programma di italianizzazione, un processo che partiva dalla toponomastica e passava per lo sport, la cucina e le mode provenienti dall’estero. Tra il 1936 e il 1938 il Min Cul Pop dettò le nuove regole di italianizzazione e nuove parole da usare. Sciampagna (champagne) o arzente (cognac), spirito d’avena (whiskey) e bomboloni (croissant); mai più verdure alla julienne ma zuppa di legumi minuti, niente omelette ma frittata avvolta, niente tournedos ma medaglioni di filetto di bue. I futuristi con le parole ci andavano a nozze e anche loro diedero un notevole contributo, per esempio classificando i cocktail, ormai diventati polibibite. C’erano le Decisioni, bevande caldo-toniche che aiutavano a prendere decisioni importanti; le Inventine erano rinfrescanti e inebrianti, capaci di stimolare nuove idee; le Prestoinletto erano le bevande invernali, riscaldanti, quelle capaci di agevolare il sonno erano le Paceinletto, dalle proprietà soporifere; dulcis in fundo, per chi credeva nelle proprietà afrodisiache delle polibibite c’erano le Guerrainletto, le “fecondative”.

Nella campagna di italianizzazione Mussolini continuava ad esaltare i prodotti italiani a discapito di quelli esteri: il caffè arrivò a costare così tanto che ormai nessuno poteva permetterselo e questo fece sì che venisse sostituito dal più economico orzo. I surrogati andavano per la maggiore, non si beveva più il tè ma il carcadé, si prediligeva il pesce alla carne e, ovviamente, il riso alla pasta. La guerra si estese alla “cucina internazionale di grande albergo”, così malinconica e frustrante che sviliva i grandi uomini e non li aiutava affatto quando si trattava di prendere importanti decisioni.

Guerra alla pastasciutta! Roba da futuristi | Foto di Federica Di Giovanni

 

Le regole della cucina futurista

Oltre al Manifesto del movimento in sé, Filippo Tommaso Marinetti decise di concentrarsi solamente sulla cucina con il Manifesto del 1931, occupandosi di gastronomia insieme all’amico Luigi Colombo, il poeta e pittore meglio noto come Fillìa. A lui si deve la creazione del Carneplastico, un piatto che voleva descrivere sinteticamente i paesaggi italiani. Composto al centro da una grande polpetta ripiena di verdure cotte, alla base era circondato da una salsiccia posata su sfere di carne di pollo e cosparsa in cima dal miele. Le forme erano importanti, soprattutto per un pittore come Fillìa ma anche per il collega Enrico Prampolini, che creò un altro plastico chiamato Equatore + Polo Nord: un “mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica con pepe sale limone”. Al centro c’era un cono di albume montato e solidificato, cosparso di spicchi d’arancio e tartufo nero in cima.

Con la sua voglia di abbattere tutto, di rivoluzionare la tradizione ricominciando da zero, Marinetti ha contribuito ad offrire degli spunti validi per gli anni a venire, infatti oggi in cucina si usano additivi e conservanti, così come i macchinari tecnologici per aiutarsi nella preparazione. Con l’idea di “modificare radicalmente l’alimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola” Marinetti e soci esaltavano l’abolizione del passato, liberandosene del peso anche a livello concreto, lanciando una battaglia contro forchette e coltelli, che facevano perdere l’esperienza tattile e “prelabiale”. Fondamentali per la cucina futurista erano infatti le esperienze sensoriali, la capacità di eccitare la fantasia “prima di tentare le labbra”. Era stato richiesto anche l’aiuto della scienza per incrementare le macchine e le soluzioni della chimica (con polveri, pillole e vitamine) per abbattere i costi del cibo. Ozonizzatori, lampade a ultravioletti, elettrolizzatori e autoclavi centrifughe erano le macchine suggerite per estrarre succhi, polverizzare e rendere più dinamiche le azioni nella preparazione di piatti come il Salmone dell’Alaska ai raggi del sole con salsa Marte. Era richiesto l’uso di profumi prima dell’entrata del piatto, la musica e la poesia erano parti importanti durante gli intervalli tra le vivande, ma la loro presenza non doveva essere dominante.

Gli esterofili erano delle creature capaci di distruggere l’innovazione e il rafforzamento della cultura italiana, perché sempre proiettati verso l’esterno, raccoglitori di idee sbagliate. Tra le peggiori specie di esterofili c’erano le signore dell’alta borghesia che seguivano usi e costumi stranieri, con i loro cocktail party. Mentre ancora oggi si discute dell’uso eccessivo di termini stranieri – inglesi soprattutto – e l’Accademia della Crusca invita a usarli con moderazione, i futuristi vivrebbero nell’incubo perenne di meeting, briefing e happy hour, peraltro circondati da abbondanti piattoni di pastasciutta, rivisitata nei modi più disparati. La vittoria, purtroppo per loro, è andata alla tradizione.

Foto di Federica Di Giovanni