fbpx
Radio Mercato Centrale

  • https://nr4.newradio.it:19407/stream

Retrobotteghe, il blog del Mercato Centrale

Scegli una città

Alla ricerca del lieto fine

Postato il 24 Febbraio 2020 da Elide Messineo
Il cibo nelle fiabe è onnipresente e spesso si fa metaforico e simbolico, soprattutto per via della sua natura estremamente versatile. Può essere pericoloso o salvifico, magico, funzionale, decorativo. Le fiabe un tempo erano particolarmente cruente, descrittive della società del tempo in cui sono nate, società in cui il benessere era prerogativa di pochissimi – pertanto il cibo ha anche una forte valenza sociologica e simbolica. Pollicino ne è uno degli esempi più emblematici, abbandonato nel bosco poiché i genitori non riuscivano a sfamare lui e i suoi fratelli. Sono mille le interpretazioni di questa e altre fiabe così come tanti sono i riferimenti: su tutti, però, spicca sempre il tema della fame e della povertà estrema. C’è chi per interpretare la fiaba di Pollicino utilizza un approccio psicanalitico ed in particolare di stampo freudiano, associando la fame alla fase orale dei bambini; c’è chi, invece, considera le fiabe un semplice intrattenimento, la storia da raccontare prima del bacio della buonanotte. Molto simile a Pollicino è la storia di Hänsel e Gretel, la più famosa è la versione dei fratelli Grimm. Anche i due protagonisti vengono abbandonati nel bosco con il pretesto di andare a tagliare la legna, perché i genitori non sono più in grado di sfamarli. In entrambi i casi i protagonisti devono essere abbastanza forti da mettere da parte le tentazioni del palato per salvarsi – e non è davvero semplice se dalla povertà ti ritrovi catapultato di fronte ad una casa di marzapane, con i vetri fatti di zucchero e tutto il resto. La furbizia è un elemento fondamentale per accaparrarsi la salvezza.

In questa, come in altre fiabe, il tema è ricorrente perché molte di queste storie sono nate nel Medioevo, in tempo di carestia, quando l’infanticidio non era una pratica così insolita nelle famiglie che non potevano mantenere troppi figli – in particolare quelli che non costituivano forza lavoro a supporto delle famiglie. Essere scaltri diventa così una soluzione per la sopravvivenza: un po’ come accade nel paese dei Balocchi collodiano, chi non è furbo e cede alla tentazione viene trasformato in un asino. Il tema della fame è ricorrente anche ne “Le avventure di Pinocchio“, basti pensare alla cena al Gambero Rosso a cui il burattino prende parte, trascinato nel locale dal Gatto e la Volpe, per poi ritrovarsi con l’amaro in bocca. Il Gatto mangia “solo” “trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana con aggiunta di burro e formaggio grattato”. Per la Volpe invece ci sono “lepre e dolce forte con contorno di pollastre ingrassate e galletti di primo canto, cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa”. Pinocchio, di fronte ai due amici che sostenevano di non avere nemmeno troppo appetito, si ritrova a consumare uno spicchio di noce e un cantuccino di pane per poi essere svegliato, nel bel mezzo della notte, dall’oste che gli comunica che il Gatto e la Volpe si sono rimessi in cammino senza di lui, lasciandogli un conto salato da pagare. Nella storia di Pinocchio si manifesta la tradizione culinaria toscana e un’altra tematica ricorrente in altre fiabe, ovvero il ritrovarsi ad essere cibo per altre creature. Pinocchio e Geppetto si ritrovano nella pancia della balena così come Cappuccetto Rosso e la nonna finiscono in quella del lupo: in entrambi i casi ne escono indenni dopo essersi preso un brutto spavento.

Sognando la ricchezza

Le fiabe sono sempre contraddistinte da un forte contrasto tra povertà e opulenza: Pinocchio, prima di essere risvegliato dall’oste, sogna monete d’oro irraggiungibili. Il sogno della ricchezza, il desiderio di allontanarsi quanto più possibile dalla povertà, diventa il motore di molte storie, come quella del Gatto con gli Stivali. Anche in questa fiaba, scritta inizialmente da Giovanni Francesco Straparola, poi ripresa da Giambattista Basile e in seguito da Charles Perrault, il cibo ha un ruolo non da poco. Un mugnaio decide di suddividere i suoi pochi averi tra i suoi tre figli: il primo riceve in eredità il mulino, il secondo un asino e il terzo si ritrova a ricevere solamente un gatto. I primi due fratelli possono in qualche modo tirare a campare, mentre il più piccolo si chiede cosa possa farsene di un gatto, se non finire col mangiarlo. Il gatto, però, è una creatura molto scaltra che, prima di finire arrostito al cartoccio, si propone di aiutare il suo padrone. Questi, che non ha poi molto da perdere, decide di assecondarlo. A partire dal dono di un’abbondante scorta di selvaggina consegnata al re a nome di quello che il Gatto con gli Stivali ribattezza “marchese di Carabas”, le sorti del ragazzo sono destinate a cambiare. Con una serie di furbe trovate, il Gatto riesce a trasformare il suo padrone in un ricco marchese, il potere dell’astuzia batte quello materiale e alla fine quello che sembrava essere il più sfortunato di tre fratelli, è colui che riesce a trarre maggiori vantaggi dall’eredità ricevuta. Tra gli elementi simbolici ricorrenti in questa come in altre fiabe compare anche l’acqua, dalla quale il padrone del gatto esce ripulito e rinato, pronto ad indossare le vesti della sua nuova identità.

Ne “La ragazza mela” di Italo Calvino compare uno dei frutti più ampiamente utilizzati in storie, metafore e leggende. La mela simboleggia fertilità e il suo albero ne produce in abbondanza. Contrariamente a quanto accade in Biancaneve, il frutto non ha accezione negativa e non è destinata ad essere mangiata. In Tremotino, invece, torna la figura del mugnaio, ricorrente nelle fiabe e mai vista di buon occhio. Ricordando che buona parte delle storie è nata in un periodo di carestia, la figura del mugnaio si conquistava l’antipatia del popolo in quanto personaggio privilegiato, figura tanto invidiata quanto poco incline a far dono dei propri prodotti in tempo di crisi. Una storia di povertà è anche quella di “Jack e il fagiolo magico“, di origine anglosassone. Il protagonista della storia, in italiano conosciuto con il nome di Giacomino, vive insieme alla madre e le sorelle  in una fattoria. Anche nel suo caso fame e carestia sono la scintilla che scatena l’ingegno. Giacomino deve vendere una mucca che non produce più latte per riuscire a sfamare la sua famiglia ma anziché tornare a casa con delle monete sonanti, rientra con un sacchetto di fagioli che, secondo quanto detto dal loro venditore, sono magici. La madre manda Giacomino a letto senza cena, scambiandolo per un credulone e, presa dalla rabbia, lancia i fagioli fuori dalla finestra. Il giorno dopo si ritrova di fronte ad una pianta gigante. Giacomino, intrepido e curioso, si arrampica sulla pianta di fagiolo e da lì ha inizio la grande avventura che lo vede rientrare a casa vittorioso dopo una lunga lotta contro il gigante del castello, colmo di monete e con una gallina che produce uova d’oro. Miti e leggende sono sempre legati al cibo, come nel caso della pastiera napoletana. La nascita di questo dolce è stata raccontata in vari modi: secondo alcuni le mogli di pescatori e marinai avevano lasciato in riva al mare le loro offerte per la dea Partenope, augurandosi di veder tornare i loro mariti sani e salvi. I doni erano composti da ceste piene di uova, ricotta, frutta candita, grano e fiori d’arancio. Le onde del mare durante la notte aveva mescolato gli ingredienti dando vita a quello che oggi è uno dei dolci più conosciuti e amati della tradizione campana. Gli ingredienti della pastiera sono tutti fortemente simbolici e legati alla primavera – per quanto ne riguarda gli aspetti più pagani – e alla Pasqua – per quanto riguarda gli elementi cristiani -, il periodo in cui viene maggiormente consumata.



Tra morale e magia

Le fiabe sono storie con personaggi fantastici, come gli orchi e le fate, che non hanno un vero e proprio intento morale, mentre le favole hanno come protagonisti quasi sempre degli animali e sono racconti caratterizzati dalla presenza di una morale, che nascondono insegnamenti ma che aiutano anche ad allenare la creatività e la fantasia degli ascoltatori, generalmente bambini. Alcune storie hanno una funzione pedagogica, tra queste rientra “Cuore di ciccia” di Susanna Tamaro, un supporto per i piccoli che vivono determinate problematiche – come quella dell’obesità – e non sono ancora in grado di riconoscerle o spiegarle. Il piccolo Michele, figlio di genitori separati, ha come unico amico il frigorifero e vive con una madre molto attenta alla linea con non lo incoraggia e lo vorrebbe diverso, in particolare magro. Michele deve trovare un’alternativa per combattere la solitudine, la storia della Tamaro mette in evidenza l’incapacità di ascoltare i bambini ed è istruttiva non solo per loro, ma anche per gli adulti che dovrebbero prendersene cura. Ci sono poi favole celebri per la loro morale, come “La volpe e l’uva” e “La cicala e la formica”, entrambe scritte da Esopo. La prima ha dato vita al noto proverbio “fare come la volpe con l’uva”, ovvero disprezzare, a seguito di una sconfitta, ciò che non si può ottenere. Nella seconda l’insegnamento è quello di impegnarsi e lavorare come la formica, per poi essere capaci di affrontare momenti difficili. Fondamentale, in questa favola, è proprio il cibo: mentre la formica laboriosa continua a metterne da parte in vista del freddo inverno, la cicala scansafatiche invece preferisce trascorrere la sua estate cantando e perfino prendendo in giro la formica per il suo duro lavoro, per poi ritrovarsi senza scorte e senza un posto caldo in cui restare.

In “La fiaba dell’orcoGiambattista Basile racconta la storia di Antonio e della sua tovaglia magica, quando la apre su di essa compare ogni sorta di pietanza. Nella vasta produzione dell’autore campano compaiono molte pietanze della tradizione culinaria regionale e molto cibo in generale: dal dattero magico, in grado di esaudire i desideri de “La gatta Cenerentola“, agli sfarzosi banchetti probabilmente ispirati a quelli delle corti nobili del Regno di Napoli, che Basile stesso frequentava. A proposito di banchetti, se doveste organizzarne uno, magari per il battesimo della vostra primogenita, ricordatevi di controllare bene la lista degli invitati: la fata Malefica non prende bene il mancato invito e decide di scagliare la sua maledizione sulla principessa Aurora, protagonista de “La bella addormentata”, fiaba tradizionale ripresa con successo da Charles Perrault. Il cibo gioca, poi, un ruolo fondamentale nella scelta del nome di Raperonzolo: rimasta incinta dopo aver desiderato a lungo la gravidanza, la madre viene presa da una grande voglia di mangiare raperonzoli, proprio come quelli che crescevano nel magnifico giardino accanto al quale vivevano. Il giardino, però, apparteneva alla perfida Dama Gothel che, scoperto il piccolo furto, decide di punire i colpevoli tenendo la nascitura con sé, imprigionata nella torre senza porte e senza scale, nel bel mezzo del bosco. Solo molti anni dopo la ragazza trova la sua salvezza, quando il principe rimane rapito dal suo bel canto e decide di salvarla.

La magia permette alla madrina di Cenerentola di trasformare una semplice zucca in una splendida carrozza per mandarla al ballo dove incontrerà il suo destino, mentre in “Le avventure di Alice del paese delle meraviglie” tutto ciò che è cibo non ha solo la funzione di sfamare ma, attraverso la magia, aiuta la protagonista nelle più svariate situazioni. Il cibo diventa uno strumento per combattere la solitudine o per realizzare dei desideri, come l’Omino di pan di zenzero. La storia narra che una coppia di anziani che sognavano di avere un figlio decisero di cucinare un biscottino di pan di zenzero che avesse delle sembianze umane e che, una volta cotto, prende vita e inizia a scappare per sfuggire ad animali e umani che vogliono mangiarlo. La storia esiste in diversi paesi e a seconda di questi assume diverse sfumature: a volte l’omino finisce per essere mangiato, altre no, a volte è composto da altri ingredienti. Una storia simile è quella del delizioso corto d’animazione della Pixar “Bao” (2018) in cui una donna di origini cinesi sta preparando dei baozi e uno di questi prende vita. La donna decide di farlo crescere e tenerlo come se fosse un figlio, una storia emozionante che racconta il difficile momento del distacco tra una madre e un figlio ormai pronto a seguire la propria strada. Lontane dalla tenerezza del cortometraggio appena citato, le fiabe antiche (e in seguito tutta la narrazione che ne è derivata) sono nate un miscuglio tra horror e comicità che serviva ad esorcizzare le paure attraverso la narrazione. Oltre a questa funzione, le fiabe si distinguono sempre per via dei loro personaggi che, grazie alla loro determinazione, raggiungono importanti ed ambiziosi obiettivi. In generale, dopo una serie di difficoltà torna sempre il sereno e non è difficile scorgere insegnamenti utili e buoni intenti. Quando si è piccoli le fiabe non sono mai abbastanza, da grandi invece rischiamo di raccontarcene troppe: tutti siamo accomunati dalla continua ricerca di un lieto fine che, tra un’avventura e l’altra, arriverà.