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Tutti pazzi per il pane

Postato il 9 Settembre 2019 da Elide Messineo
Se non fosse stato documentato anche dalla stampa (e non solo da quella locale) il caso del “pain maudit” sembrerebbe la grottesca trama di una commedia francese. Gli elementi ci sono tutti: uno strano caso di follia collettiva, un panettiere sospetto, il cattivo di turno, un sindaco-detective e un grande, grandissimo malinteso. Siamo in Occitania, agosto 1951, nella cittadina di Pont Saint-Esprit: uno di quei posti in cui il tempo scorre senza che accada mai niente e poi tutto accade all’improvviso. Centinaia di persone si ritrovano, una dopo l’altra, in preda a strane allucinazioni e a stati deliranti, tante che non c’è più posto per contenerle tutte nel manicomio del paese. Vengono portate ad Avignone, a Nimes, a Montpellier ma nessuno, all’inizio, capisce cosa sia potuto succedere. Ripensando a ciò che accomuna le vittime di questo delirio di massa, però, tutti sono d’accordo sul puntare il dito contro il panettiere. Tutte quelle persone, infatti, nei giorni precedenti, hanno acquistato il pane presso il forno di Brian, che si ritrova dietro le sbarre prima di rischiare di essere linciato da una folla inferocita. Si parla di farina contaminata da mercurio, nel corso del tempo (e tutt’ora) nascono teorie cospirazioniste, la superstizione ha la meglio sulla scienza. Poi, la rivelazione: il mugnaio Maillet confessa. Viene arrestato insieme a un operaio, suo complice, per avere mescolato insieme al frumento della farina di segale contaminata dall’ergot (anche detta segale cornuta), un fungo parassita dagli effetti psichedelici. La maggior parte della farina era finita nel forno di Brian, ecco perché quasi tutte le “vittime” della psicosi di massa sono state a Pont Saint-Esprit.

La fine dell’estate si porta via il caldo ma non il timore che ancora qualcosa di brutto possa accadere. Proprio quando i cittadini cercano di dimenticare il trauma, calandosi nell’atmosfera natalizia che profuma di cannella l’aria di dicembre, l’incubo si ripresenta. Stavolta il dito viene puntato contro il fornaio Landrault. Si viene a sapere che la povera madame Carbo ha visto morire i polli e il suo gatto sotto i suoi occhi dopo averli nutriti col pane raffermo comprato in quel forno specifico. Madame Carbo si fa risarcire il danno dal panettiere (2500 franchi), che spera di mettere a tacere la brutta storia ed evitare di scatenare il panico in paese. La donna, però, racconta tutto alla signora Zanlander, che inizia a sospettare che l’incubo del pane maledetto si sia ripresentato quando scopre che anche le suore dell’ospedale, una dopo l’altra, avvertono strani malori. La donna corre dal prete che, allarmato, chiama il medico. Il signor Vieu, il commissario Sigault e il sindaco Hebrard, che sembrano usciti da una commedia gialla, cercano di venirne a capo. Si scopre, poco dopo, che le suore hanno festeggiato in segreto, sgarrando per una volta senza consumare lo stesso pasto dei pazienti dell’ospedale. Il peccato di gola, pensate un po’, consiste in una scatoletta di pesce. Agli occhi di Hebrard, che ha un negozio di salumeria, appare subito chiara la causa del loro male: il pesce era avariato e nessun panettiere stava cercando di (ri)seminare il panico in città. Le suore, pudiche, rilasciano la confessione solo quando apprendono che un ignaro fornaio è finito dietro le sbarre a causa dei loro mal di pancia.



Non sarebbe la prima volta nella storia, tuttavia, che una cosa simile accade. I problemi causati dall’ergot sono diventati noti circa due secoli fa. Prima di allora molte morti o altre anomalie (aggressioni, allucinazioni…) non erano state associate all’ergotismo. Questo ha portato la psicologa Linnda Caporael a rivedere sotto una nuova luce il discusso processo alle streghe di Salem. In generale, nel corso della storia dei processi per stregoneria, i più numerosi si sono svolti nelle zone in cui erano maggiori le coltivazioni di segale. La storia di Salem, che ha ispirato tantissimi lavori cinematografici, letterari e non solo, ha avuto inizio nel 1691. La piccola Elizabeth “Betty” Parris aveva nove anni e insieme alla cuginetta, la dodicenne Abigail Williams, aveva iniziato a manifestare strani comportamenti. Il caso volle che Betty fosse la figlia del reverendo, che cercò subito risposte tentando la via della fede. La vicina di casa, Mary Sibley, pensò di adottare un metodo particolare per capire se le ragazzine fossero afflitte dal problemino della stregoneria. Chiamò a lavoro gli schiavi del ministro Parris: chiese a John Indian di raccogliere le urine di Elizabeth e Abigail, poi fece preparare una torta a sua moglie, Tituba. La torta sarebbe stata mangiata dal cane perché, secondo la Sibley, se il cane avesse manifestato gli stessi sintomi delle bambine, avrebbe provato che si trattava di stregoneria. Nel giro di poco tempo anche la schiava di origini barbadiane Tituba si ritrovò ad essere accusata di essere una strega, e direttamente dalle bambine che accudiva. Secondo alcuni, la schiava aveva insegnato loro alcune tecniche di divinazione che avevano dato adito ai sospetti sulla stregoneria. In ogni caso, fu così che iniziò una catena di accuse senza fine, seguita da interrogatori e arresti. La povera Tituba – sotto tortura – confessò di essere una strega e fece altri nomi a sua volta, senza però essere processata né condannata, cosa molto insolita per una schiava. Non andò bene, invece, alle altre 144 persone processate. L’unico modo per scampare la pena capitale era quello di dichiararsi colpevoli e fare i nomi di altri sospettati – tra i condannati ci furono anche uomini e uno di loro morì proprio a causa delle torture, senza proferire parola. Molte delle persone condannate erano considerate, fino ad allora, rispettabili, e godevano di fiducia nella comunità. Il primo processo fu quello del 2 giugno, che si concluse con la condanna a morte di Bridget Bishop, impiccata otto giorni dopo su quella che fu ribattezzata “la collina delle streghe”. Le condanne a morte furono 19 in totale (di cui 14 donne) ma l’intero processo, la gestione delle prove e della situazione in generale, fu discutibile fin dall’inizio. Linnda Caporael, controllando i registri delle condizioni atmosferiche dell’epoca e rileggendo i diari dei residenti di Salem e dintorni, riscontrò che almeno 24 dei 30 accusati avevano manifestato i sintomi dell’ergotismo. Ad oggi non si può dire in alcun modo se tutto possa essere partito dalla segale cornuta ma potrebbe essere stato proprio l’ergot la scintilla a scatenare un’isteria di massa. La differenza con quella avvenuta in Francia nel ’51 è che all’epoca i coloni puritani lasciavano da parte la ragione a favore di credenze e superstizioni – oltre al fatto di non avere gli stessi strumenti per le indagini né tantomeno sufficienti informazioni scientifiche. Come abbiamo già detto, le cause dell’ergotismo sono state individuate in tempi relativamente recenti, mentre all’epoca di Salem rientrava in pieno nel lungo periodo di caccia alle streghe che coinvolse principalmente il mondo occidentale. L’inspiegabile fa sempre paura e in questo caso, accompagnato da una buona dose di superstizione e un pizzico di fondamentalismo, ha fatto numerosi danni. Chiunque praticasse la medicina popolare o si attenesse a tradizioni pagane non era visto di buon occhio. I cacciatori di streghe allora erano diffusi ovunque e molto spesso la caccia si trasformava in un pretesto per celare altre ragioni, quasi sempre socioeconomiche, per liberarsi di determinati soggetti. Nemmeno l’Italia fu immune da queste credenze e dalla caccia, in un periodo che si concentra soprattutto nel Cinquecento: uno dei casi più noti è quello del noce di Benevento. L’albero consacrato a Odino dalla comunità longobarda che si era instaurata nella zona, è diventato il simbolo dei sabba delle streghe. Con più probabilità i rituali dei longobardi piacevano poco alla comunità locale, cristianissima, e contribuirono a dare adito a leggende che tutt’oggi resistono. Fu processata, tra le altre, per stregoneria e veneficio, Giovanna Bonanno, “la vecchia dell’aceto” che seminò il terrore a Palermo. In realtà la Bonanno aveva adottato un metodo già diffuso, tempo prima, da donne come Lucusta, che vendevano “rimedi” ad altre donne per aiutarle a liberarsi dei loro mariti. Giovanna Bonanno era una mendicante che aveva trovato una soluzione efficace per mantenersi: vendere aceto per pidocchi come veleno, destinato principalmente a mogli infelici che, per un motivo o per l’altro, volevano solo sbarazzarsi dei loro coniugi. Chi per punirli, chi per vivere finalmente la sua storia con l’amante, tante erano le clienti di Giovanna così come lo erano state, tempo addietro, quelle di Lucusta e Giulia Tofana. Nulla a che vedere con il pane e le teorie complottiste che, negli anni, sono nate intorno alle vicende di Pont Saint-Esprit. Nel 2010 il caso fu tirato nuovamente fuori e una delle teorie più accreditate ha a che fare con la CIA, che avrebbe condotto un esperimento di manipolazione mentale scegliendo proprio la popolazione della cittadina francese come cavia. Il fascino del complotto, non c’è dubbio, batte il pane contaminato di un ignaro fornaio.


Foto di Federica Di Giovanni