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Un giro in Giappone

Postato il 29 Ottobre 2021 da Elide Messineo
Quella di Chūbu è una delle otto regioni del Giappone e la sua città più grande è Nagoya che, con una popolazione che arriva quasi a due milioni e mezzo di abitanti, è tra le aree urbane più popolose del Giappone. La storia della città affonda le sue radici molto lontano nel tempo, all’epoca del feudalesimo, mentre oggi Nagoya si contraddistingue per essere una città modernissima, caratterizzata dalla presenza di molti musei e ristoranti di alto livello all’interno di un’area commerciale e industriale piuttosto florida. Se il Giappone in generale è un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati di buon cibo, Nagoya è una tappa fondamentale per scoprire la tradizione gastronomica più autentica. Essendo un posto in continua evoluzione, Nagoya è diventata anche un importante centro di scambio e fusione di culture che si uniscono a quella locale per dare sempre vita a qualcosa di nuovo. Dal 2005 la città di Nagoya è gemellata con Torino, che quest’anno la omaggia anche attraverso il Washoku Japanese Culture & Food Fest.

La cultura culinaria di Nagoya è così vasta e importante che ha un termine tutto suo per definirla, Nagoya-meshi. La gastronomia della zona, a forte connotazione regionale, è così particolare che la stampa nipponica ha coniato un nuovo termine per raccontarla. Dopotutto, anche la storia della cucina giapponese parte da molto lontano ed offre una varietà pazzesca di ingredienti e le loro molteplici declinazioni. È proprio nell’ambito di una cultura così sfaccettata e peculiare che si è costituita quella che i giapponesi chiamano Washoku, che si può tradurre in italiano come l’armonia del cibo. Si tratta di un elemento così importante da essere stato dichiarato patrimonio immateriale dell’UNESCO nel 2013: il valore della cucina non è puramente legato agli ingredienti ma è anche una questione sociale e spirituale. Il cibo, come ben sappiamo, per i giapponesi ha anche una forte valenza estetica e l’utilizzo degli ingredienti non è mai casuale.

Tutto, nei piatti, deve essere perfettamente bilanciato: dalla composizione del piatto stesso, passando per i colori e i sapori. Washoku è tutto questo e si porta dietro moltissimi elementi della tradizione legati anche ai rituali di buon auspicio legati al raccolto o ai tentativi di allontanare e scacciare gli spiriti maligni. Non è un caso che proprio nelle festività si possa assistere a un vero e proprio tripudio di questa “armonia del cibo” ed ogni celebrazione ha un suo colore predominante, a seconda della stagionalità che la distingue ma anche dei legami spirituali che comporta.



Washoku rappresenta la grande profondità della cultura giapponese, che ingloba inevitabilmente anche il cibo. Questa parola include l’importanza di rispettare le materie prime – vegetali e animali – infatti viene data estrema importanza alla stagionalità. Il Giappone ha un territorio abbastanza vasto e diverse aree climatiche da poter offrire una grande varietà di pietanze, che vengono sempre messe in risalto tramite tecniche culinarie studiate appositamente per non risultare mai penalizzanti e che non comportino mai la possibilità di alcuno spreco. All’interno di questa continua ricerca dell’armonia, che a sua volta deriva dall’equilibrio di Yin e Yang derivato dalla cultura cinese, anche le stoviglie hanno la loro importanza. E la selezione dei piatti non è mai casuale, anche i loro colori si adeguano alle stagioni e sono sempre rappresentativi, riempiti con estrema cura e in modo che i sapori siano tutti sapientemente bilanciati, e in modo che nessuno sovrasti l’altro. Uno dei gusti tipici della cucina washoku, tratto distintivo della cucina giapponese e orientale in genere, è l’umami, che è quello che si sente di più gustando uno dei piatti tipici del Washoku, il dashi. Si tratta di un brodo che si usa come base di molte portate, preparato con prodotti agricoli e/o marini prevalentemente essiccati, come le alghe kombu.

Washoku contempla anche l’importanza della presenza degli ospiti e del modo in cui devono essere trattati. Anche in questo caso, esiste un termine apposito che è omotenashi, che indica l’accoglienza riservata agli ospiti, sempre indirizzata alla creazione di legami e relazioni. Lo dimostra molto bene la cerimonia del tè (Cha no yu), un modo per avvicinare attraverso una bevanda così diffusa e, ancora una volta, il cibo. La cerimonia a sua volta è un vero e proprio rituale e attraverso il tè, soprattutto relativamente alla cultura giapponese, si potrebbero spalancare le porte su un altro mondo, altrettanto vasto e sfaccettato, carico di significati. All’interno di questa filosofia culturale e gastronomica, infine, non si può fare a meno di notare che ricorre sempre il numero 5: cinque sono i sapori (dolce, amaro, salato, acido, piccante), cinque sono i colori (rosso, verde, giallo, nero, bianco), cinque sono i tipi di preparazione (alla brace, bollitura, a crudo, frittura, al vapore) e cinque sono i sensi. Perché il cibo non è solo una questione di gola.