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Il muro è crollato, è tempo di Ostalgie

Postato il 5 Novembre 2019 da Elide Messineo
Riusciresti a immaginare cosa vuol dire ritrovarti improvvisamente la libertà tra le mani e non avere la minima idea di come utilizzarla? È esattamente la situazione in cui si sono trovati gli abitanti di Berlino Est il 9 novembre 1989 quando hanno scoperto che il muro che divideva la città in due parti non avrebbe più potuto condizionare le loro vite.

Dopo 28 lunghi anni, gli abitanti dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR) si ritrovavano storditi dalla visione di quel capitalismo che avevano dovuto disprezzare fino a pochi momenti prima. Fino ad allora non avevano avuto che una lontana percezione di quello che stava accadendo dall’altra parte, ad Ovest. Ogni tanto arrivava qualche pacco con delle delizie innominabili, si poteva trovare del caffè di contrabbando, anche se il regime socialista aveva provveduto a procurare surrogati di ogni prodotto ai propri cittadini – e per il caffè ci fu anche una profonda crisi nel 1977. Come la Vita-Cola, la versione “sovietica” della Coca-Cola, o la Nudossi, il corrispettivo della Nutella. Il tempo passava e lo shock rendeva gli ex cittadini della DDR sempre più confusi, come se fossero stati travolti da una sorta di sindrome di Stoccolma in cui l’aguzzino era stato il regime sovietico. Alla fine del 1989 potevano finalmente mescolarsi alla gente di Berlino Ovest ma il cambiamento, seppur liberatorio, fu meno indolore di quanto si potesse immaginare. Il livello di istruzione degli abitanti dell’ex Repubblica Democratica era molto più basso rispetto agli abitanti della Repubblica Federale, e questo rendeva difficile per loro integrarsi nella società, rientrare in un nuovo modello occupazionale, e comportava spesso e volentieri discriminazioni. La fine dell’Unione Sovietica, che sarebbe ufficialmente arrivata di lì a poco, aveva rimesso in discussione il concetto di identità della popolazione di Berlino Est.

Il regime socialista, col trascorrere del tempo, diventava sempre meno tiranno, idealizzato come quando, dopo molti anni, si ricorda un vecchio amore tralasciandone i lati più negativi. I ricordi sempre più edulcorati della DDR e dello stile di vita dell’epoca aveva fatto emergere quello strano fenomeno che è stato ribattezzato con il nome di Ostalgie. I vecchi abitanti della zona Est si ritrovavano, negli anni Novanta, agli Ostalgie Party, delle feste in cui la nostalgia per il passato trovava sfogo in un carnevalesco revival, con tanto di prodotti iconici dell’epoca che ci si era appena lasciati alle spalle. Gli stessi Ostalgie Party sono diventati poi commerciali, finendo con l’essere risucchiati dal sistema capitalista senza che gli ex DDR se ne rendessero conto. Ma com’è possibile che cibi, usanze, vestiti, costumi e ricordi del passato dessero vita a questa nostalgia apparentemente inspiegabile? Da questo fenomeno hanno tratto profitto alcune aziende, poiché le attività che realizzavano i vecchi prodotti di uso quotidiano – bevande e cibo in primis – di fronte alla travolgente ondata capitalista (e immaginate lo scossone dopo 28 anni di isolamento!) si ritrovarono al collasso. Qualche tempo dopo, però, proprio quelle attività apparivano un porto sicuro al quale fare ritorno per chi, per buona parte della sua vita (o tutta, per i più giovani) non aveva conosciuto altro che quegli articoli. Fino ad allora considerati prodotti di serie B, di pessima qualità, i vecchi prodotti della DDR acquisivano un fascino tutto nuovo: ecco che la Vita-Cola nel 1994 tornava sugli scaffali. Un altro esempio emblematico è quello del Caffè Rondo: molto spesso dietro il rilancio di prodotti orientali si nascondevano strategie di marketing di realtà occidentali che avevano inglobato le vecchie aziende della DDR.

L’Ostalgie ha dato vita a un filone culturale a sé stante, fatto di libri e film, feste, menu e vacanze a tema: il fascino della cultura sovietica torna, attraverso questo fenomeno, ripulito dai suoi aspetti più negativi, filtrato dal tempo trascorso. Il film che racconta perfettamente il fenomeno generatosi dopo la caduta del muro è senza alcun dubbio “Goodbye, Lenin!” di Wolfgang Becker, uscito nel 2003. Chiunque l’abbia visto ricorderà i cetriolini Spreewalder che fanno ammattire il protagonista del film. I cetriolini, grande passione del popolo tedesco, erano tra gli ingredienti più gettonati nelle cucine di Berlino Est insieme a patate lesse, cavolfiori, carote e surrogati dei prodotti dell’Ovest, ai quali si aggiungeva pochissima carne, prevalentemente di maiale.

Ostalgie non è da considerarsi una nostalgia di stampo ideologico: i tedeschi orientali si trovavano improvvisamente destabilizzati e il 9 novembre 1989 stavano “cedendo” la loro identità, da considerarsi tale con tutte le critiche del caso. Una volta scoperto un mondo che non li avrebbe accettati naturalmente come avrebbero voluto (e come avrebbe potuto), l’idea di tornare allo status quo sarebbe stata più rassicurante di tutto il resto. Più che di rifiuto della modernità, quindi, si può parlare di una perdita dei propri punti di riferimento e di un fenomeno pop che stava nascendo dallo smarrimento di un’intera popolazione. Com’è la situazione, nel 2019? Dopo quella notte il tempo sembrava essersi velocizzato e lo stile di vita dei tedeschi orientali era stato sballottato nel futuro, come racconta anche il film di Becker. Christiane Korner, fervente sostenitrice della DDR, si sveglia dopo otto mesi di coma e il figlio, Alex, fa di tutto per continuare a raccontarle un mondo che non esiste più: la versione poetica dell’impatto del cambiamento.

La voglia di liberarsi e di farlo subito ha avuto un forte impatto, l’ombra dell’Unione Sovietica era improvvisamente svanita ma bisognava fare i conti con un’identità collettiva ben forgiata dal regime e quindi ancora più solida. Perfino dal punto di vista linguistico non fu facile riadattarsi, perché da una parte all’altra del muro si usavano termini diversi che andavano a connotare e a gettare le basi del pregiudizio. L’intenzione, dopo la caduta del muro di Berlino, era stata fin da subito quella di raggiungere i livelli della Germania Ovest grazie a una serie di investimenti pubblici che, di fatto, non ci sono mai stati. L’ottimismo iniziale è stato rimpiazzato da un vero e proprio spopolamento dell’area Est della Germania. Questo non ha avuto conseguenze solo a livello economico ma anche un forte impatto sociale, con un forte aumento dei consensi verso l’estrema destra, un basso tasso di natalità e di occupazione, con un forte spostamento della popolazione verso i centri più grandi. Nel 2006 è nato il DDR Museum, che conserva circa duecentomila oggetti prodotti all’epoca, una testimonianza preziosa della versione socialista delle cose, un’occasione per riscoprire il valore della libertà.