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Perché resister non si può al ritmo del jazz

Postato il 8 Settembre 2017 da Elide Messineo
Perché resister non si può al ritmo del jazz | fritto
Scat Cat e la sua banda di gatti randagi fanno subito venire voglia di suonare e ballare non appena inizia “Alleluja! Tutti jazzisti” nel film d’animazione Disney “Gli aristogatti“.

Il jazz affascina perché muta, non ha un definizione ben precisa, tutti lo riconoscono ma non riescono a spiegarlo. Jazz è improvvisazione, voglia di ballare, a tratti malinconia, è be bop, acid, è gipsy, è swing. Se è vero che il suo successo non si è mai del tutto affievolito, è vero anche che ultimamente ha visto una sorta di rinascita in formato europeo ed è molto apprezzato dal grande pubblico, tant’è che ogni locale propone almeno una serata a settimana di jazz. Questo particolare tipo di musica, quello che “quando non sai cos’è, allora è jazz”, va di pari passo con il (buon) cibo. Appena si pensa al jazz si pensa alle bettole di New Orleans, al suono che quasi si respirava tra una spezia e l’altra, erano i primi anni del Novecento. La musica che nasceva dalle piantagioni di cotone finì per contagiare l’intera città, estendendosi per tutta la Louisiana, tra i piatti di gumbo della cucina creola si sentiva il bisogno di tornare alle origini nella maniera più viscerale.

Il rapporto cibo-musica è sempre stato molto interessante, spunto di discussione ma anche di studi scientifici e il jazz gioca sempre un ruolo particolare. John Coltrane, Herbie Hancock o Billie Holiday fanno crescere meglio perfino le piante ma la magia avviene anche dentro e fuori la cucina. Da molti anni, ormai, vengono portati avanti studi su come il cibo sia influenzato dalla musica, perfino i colori cambiano il nostro modo di mangiare. Una ricerca condotta da Brian Wansink e Koert Van Ittersum mostra come basti cambiare l’ambiente in cui si mangia per ridurre l’assunzione di calorie e, più in generale, di junk food. In un ambiente curato, silenzioso, con la musica adatta in sottofondo (che non a caso è quasi sempre jazz), le persone sono portate a mangiare più lentamente e in quantità minore. Merito anche dei colori: il rosso e il giallo prevalgono nei fast food insieme al caos di sottofondo e fanno venire voglia di mangiare più cose possibili in poco tempo. I due ricercatori hanno scelto un fast food della catena Hardee’s a Champaign, Illinois, e lo hanno diviso in due parti, separando in maniera del tutto casuale le persone. Nella zona più rilassata, con ballate strumentali jazz in sottofondo, è emerso che le persone mangiavano per molto più tempo, ma in realtà le quantità di cibo erano inferiori rispetto alla controparte, nel lato caotico del fast food. I dati non sono da poco, se le catene di fast food cambiassero questi dettagli, si potrebbe ridurre almeno in parte l’eccessivo consumo di junk food. Inoltre la soluzione sempre valida, se volete invitare ospiti a cena, è quella di scegliere un po’ di soft jazz e il vino giusto e tutto andrà bene, vi sembrerà di mangiare di più, avrete meno sensi di colpa e sarete sicuramente soddisfatti.



Perfino il comfort food cambia agli occhi di chi lo mangia se c’è un particolare tipo di musica ad accompagnarlo. Su tutti, il jazz ha un effetto speciale sul cioccolato: se ne mangiate un po’ ascoltando questo tipo di musica, vi sembrerà molto più buono del solito. Lo ha stabilito Han-Seok dell’Università dell’Arkansas, con uno studio svolto su un campione di 99 persone (di cui 46 maschi e 53 femmine) diventato famoso dopo la pubblicazione su Appetite.Tra le altre cose, infatti, dimostrava che ascoltare musica francese o tedesca in un’enoteca induceva i clienti a comprare del vino proveniente da Francia o Germania. Molti luoghi dedicati allo shopping, soprattutto quelli di alto livello, propongono una selezione musicale che non è mai casuale e, fateci caso, non è quasi mai caotica. La musica è in grado di cambiare la percezione che abbiamo di un determinato cibo, non è più questione di papille. Se volete gustarvi la vostra barretta di cioccolato, state alla larga dall’hip-hop.

Ci sono moltissime variabili che influiscono sulle nostre scelte alimentari e numerosi studi da portare avanti, soprattutto per la ricerca di soluzioni valide per la cura di disturbi alimentari. Potrebbe essere d’aiuto Duke Ellington o Ella Fitzgerald? Probabilmente sì, Thomas Hummel dell’università di Dresda sostiene che tutto ciò che ci circonda sia influente sul nostro approccio col cibo, musica inclusa. Uno studio del 2008, condotto da Nanette Stroebele e John M. De Castro del Dipartimento di Psicologia dell’Università Statale della Georgia, hanno studiato l’influenza della musica sulla quantità di cibo che si assume. Ascoltando un determinato tipo di musica cambia la durata del pasto ma c’è da dire che altri fattori subentrano, demografici o più tecnici dal punto di vista musicale, ovvero riguardanti la velocità del tempo e il volume. Se in sottofondo c’è Paolo Fresu consumerete il vostro piatto di lasagne più lentamente, se invece dovessero esserci gli Iron Maiden di sicuro avreste una masticazione più rapida. L’esperimento è stato condotto su 78 studenti del college e si è rivelato utile per trovare nuovi spunti per combattere l’obesità, anche se necessita di ulteriori sviluppi. A influenzare il risultato ci sono gli ormoni e i geni, ma negli USA è anche vero che molte persone in sovrappeso hanno uno stile di vita sedentario, trascorrono molto tempo guardando la tv e mangiano sul divano; moltissime persone, invece, mangiano per abitudine in macchina. La tv è considerata una delle principali influenze quando si tratta di obesità, aumenta il cibo e diminuisce il movimento, inoltre distrae dai bisogni effettivi e si mangia più del necessario. Un’altra associazione che è emersa dallo studio è che la musica rock influisce sul consumo di alcol. Se la musica è più lenta, si mangia meno cibo ma in tempi più lunghi e si bevono più drink. Chi va al bar e si ritrova ad ascoltare musica classica o jazz, avrà un conto più salato da pagare a fine serata. Mangiare fuori anziché a casa induce a mangiare di più, in particolare se c’è la musica, che distende e rilassa e rende il tutto più conviviale. Se si è in compagnia, poi, si tende in ogni caso a mangiare di più rispetto al solito.

C’è una bibliografia vastissima in merito e un contributo lo ha dato anche lo psicologo comportamentale Charles Spence, ex collaboratore di Ferran Adrià. Ha studiato il rapporto inconscio che c’è tra cibo e musica, stabilendo che il pop si abbina molto bene con i cibi etnici, mentre la musica classica fa venire voglia di pasta. E il jazz? Sta benissimo con il sushi, in più richiede un abbinamento attento con il vino. Si tratta di un genere musicale talmente vasto e vario che si può abbinare ad ogni tipo di sapore, proveniente da qualsiasi posto del mondo. L’importante, in fondo, è scegliere il disco giusto. A tutto il resto ci pensa il jazz.


Articolo scritto sotto l’influenza di Nina Simone

Foto di Federica Di Giovanni