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Umami, un gusto da raccontare

Postato il 3 Agosto 2016 da Elide Messineo
Umami, un gusto da raccontare
Siamo nel 1907, Kikunae Ikeda insegna chimica all’Università Imperiale di Tokyo. Occhialini tondi e baffo d’ordinanza, atteggiamento impostato, è a cena e sta gustando il suo brodo dashi quando, all’improvviso, gli viene un’illuminazione.Il piatto sembra più buono del solito e lui inizia a porsi qualche domanda. L’aggiunta del kombu (o konbu, un’alga molto usata nella cucina giapponese) sembra essere la sua risposta, ma dev’esserci qualcosa in più. Così Ikeda inizia a studiare la composizione del kombu, nel 1908 arriva a isolare i cristalli di glutammato monosodico, scoprendo che era alla base del particolare sapore percepito durante quella cena col brodo dashi.

Umami, un gusto da raccontare

Quanti gusti siete in grado di percepire? Dolce, salato, acido, amaro… ma forse vi siete dimenticati dell’umami. Per fare un esempio, è il gusto che le vostre papille gustative percepiscono mangiando la colatura di alici. Studiando altri cibi il professore si rese conto che l’umami era molto presente nei pomodori e nella carne, supponendo che gli umani avessero sviluppato nel tempo un gusto per il glutammato, che a sua volta segnalava la presenza di proteine. L’acido di glutammato è la base chimica del sapore dell’umami, quindi il professor Ikeda lo ribattezzò Ajinomoto, ovvero “all’origine del sapore” o “essenza del gusto”. La parola “umami” invece nasce dall’unione di “umai” cioè “delizioso” e “mi”, che vuol dire “sapore”, cibo saporito. Il dibattito scientifico sull’umami ha avuto inizio con la scoperta di Kikunae Ikeda, gli esperti si chiedevano se fosse da considerare un gusto fondamentale e nel 1985 finalmente il termine entrò a far parte del linguaggio scientifico. Dall’antica Roma alla Cina, l’umami affonda le sue radici in tempi molto remoti ma allora nessuno riusciva a percepirlo così distintamente. La scoperta di questo nuovo gusto – che fa letteralmente venire l’acquolina in bocca – ha stuzzicato la creatività di esperti del settore, dai cuochi ai mixologist, che si sono concentrati sulle proprietà dell’umami, accorpando ingredienti che lo contengono.

Com’è che si identifica un gusto base? Prima di tutto deve essere diverso dagli altri gusti base, deve avere proprietà universali nei cibi comuni e deve essere verificabile a livello neurofisiologico. L’umami ha superato tutte queste prove, ma non sono mancate le polemiche e perfino le leggende metropolitane.

uova

La descrizione e i benefici dell’umami

In realtà descrivere il sapore umami è cosa molto complicata. È quello che si sente mangiando la salsa di soia o nel miso, ma raccontare un gusto e categorizzarlo è sempre difficile. Molti studiosi si sono impegnati per spiegare l’importanza dell’umami, il sapore non viene percepito subito ma solo in un secondo momento, dopo la deglutizione, tanto che a volte è stato erroneamente definito come un retrogusto. È il retrogusto dell’umami, invece, ad essere delicato, aumenta la salivazione e stimola la gola, il palato e la parte posteriore della bocca. Rimane piacevole se in concentrazione ridotta, soprattutto se associato in modo corretto alla quantità di sale già presente nel cibo.

L’umami ha anche i suoi benefici, studi scientifici hanno dimostrato che le sostanze dell’umami introdotte artificialmente nel cibo possono essere d’aiuto a chi soffre di disturbi alimentari. Il glutammato monosodico, infatti, aumenta l’appetito e si sono visti risultati positivi nei pazienti anziani, con sindrome di Down, anoressia e malati di cancro. La percezione del gusto e dell’olfatto diminuisce con il passare dell’età o a causa dei farmaci, ma se si riesce a far percepire l’umami, aumenta l’appetito e di conseguenza si riescono ad apportare migliorie ad alcuni disturbi. Nel caso dei pazienti anziani, il loro gusto rimane compromesso e porta ad adottare una cattiva alimentazione, con il conseguente rischio di malattie. Tra gli altri benefici associati al glutammato c’è il rinforzamento delle difese immunitarie. Il sapore piacevole mette di buonumore, riducendo così la presenza di cortisolo (anche noto come ormone dello stress) soppressore del sistema immunitario. L’ingerimento, quindi, funziona anche a livello emotivo, dei pazienti hanno associato il piacere del mangiare un determinato piatto ad alcuni vecchi e graditi ricordi.

Umami, un gusto da raccontare

L’importanza del pomodoro, dove si trova l’umami

Dall’Ode al pomodoro di Neruda fino al nostro articolo che ne ricorda l’importanza, arrivando all’umami. La popolarità del ketchup viene attribuita proprio alla presenza del glutammato contenuto nel concentrato di pomodoro utilizzato per la sua preparazione. Il glutammato monosodico è uno degli amminoacidi che troviamo più abbondantemente in natura, soprattutto in cibi altamente proteici. Il record lo detiene il parmigiano reggiano, ma è presente nel latte vaccino, anche in quello umano, nella carne suina e bovina, lo troviamo nei cavoli, nel pollo, nelle uova, merluzzo, salmone, nelle cipolle, nei pomodori, carote, piselli, mais, peperoni verdi, prosciutto, funghi, acciughe. Più i cibi sono stagionati, più emerge il gusto umami. Il pomodoro contiene molto glutammato, soprattutto nella polpa: spesso si commette l’errore di separarla, ma basterebbe eliminare i semi per mangiare la parte più sapida e più ricca di umami.

Nella cultura occidentale c’è stato molto scetticismo nei confronti di questo gusto, quindi il riconoscimento è stato tardivo. Basti pensare che la Ajinomoto Company (una delle principali aziende produttrici di glutammato tramite sintesi chimica, anche se oggi prevale quella per fermentazione batterica) produce due milioni di tonnellate di glutammato all’anno, un milione di queste viene consumato solo in Cina.

 

Umami, un gusto da raccontare

La sindrome da ristorante cinese

Non manca chi ha parlato con accezione negativa dell’umami, che comporterebbe una sorta di dipendenza dai ristoranti asiatici, quelli che più di tutti propongono ingredienti ad alto tasso di glutammato monosodico. Nel 1970 sono iniziate le prime ricerche sulla sicurezza riguardanti il livello di assunzione di questo additivo, si parlava di possibili danni cerebrali sui bambini e perfino sui feti, di fatto danni mai dimostrati. Il glutammato è spesso preceduto da numerosi pregiudizi ma sono stati condotti molti esperimenti per quanto riguarda la neurotossicità del glutammato. I sintomi che venivano associati al suo ingerimento erano vampate di calore, difficoltà nel respirare, senso di oppressione al petto e facciale, sonnolenza, formicolio nella parte superiore del corpo, palpitazioni. In realtà non è mai stata dimostrata una correlazione tra il glutammato e questi sintomi ma da qui è nata la leggenda metropolitana nota come Sindrome da Ristorante cinese.

Tutto questo ha avuto inizio nel 1968, quando Robert Kwok spedì una lettera al New England Journal of Medicine sottolineando i sintomi provati mangiando al ristorante cinese, con riferimento specifico al cibo proveniente dalla Cina del Nord. I sintomi, che sono quelli sopra descritti, furono associati alla presenza del glutammato ma già nel 1970 la scienza iniziò a smentire questo tipo di illazioni. I sintomi provati in questo tipo di ristoranti potevano essere più facilmente associati a una bassa qualità degli ingredienti, all’intolleranza provocata da alcuni di essi, come arachidi e gamberetti, alla frittura e soprattutto al tipo di olio utilizzato. Quanti di voi, dopotutto, hanno provato questi fastidiosi sintomi mangiando il parmigiano reggiano o mangiando un hamburger?

Tra gli altri effetti negativi del glutammato era stato segnalato un aumento del tasso di sovrappeso e obesità. Come abbiamo già detto, l’umami è un gusto che stimola l’appetito e questo tipo di sapore è dovuto alla presenza di glutammato. Se da una parte è considerato benefico per chi soffre di disturbi alimentari, dall’altra è considerato deleterio perché un aumento di appetito ha come conseguenza il consumo di una quantità maggiore di cibo. In realtà anche in questo caso non è stata trovata una correlazione con il disturbo denunciato, è stato invece provato che lo stimolo dell’appetito avviene sì, ma solo durante i primi giorni di assunzione di cibo contenente l’additivo. Spesso l’umami è stato messo in contrapposizione con il gusto salato del cloruro di sodio (il comunissimo sale che usiamo in cucina) ma entrambi hanno molte cose in comune: esistono in natura, una grande quantità rovina il sapore del cibo. Negli ultimi anni il glutammato ha subito una vera e propria demonizzazione ma poi, per contraddizione, tantissime persone usano il dado vegetale per preparare il brodo o altre pietanze. Il corpo umano, invece, riesce a metabolizzare (e quindi lo produce) il glutammato naturalmente, esattamente come succede con il sale.

frittura pesce

Foto di Federica Di Giovanni