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La quinoa, una questione di cultura e identità

Postato il 16 Luglio 2020 da Elide Messineo
Della quinoa avrete sentito dire spessissimo determinate cose: appartiene alla stessa famiglia degli spinaci e non è un cereale e, anziché le foglie, se ne consumano i semi. Esistono moltissime varietà di quinoa, che sono state raggruppate in macrocategorie che dipendono, fondamentalmente, dal luogo in cui viene coltivata. C’è quella di valle o di altura, al livello del mare o delle zone subtropicali. Alcune varietà sono rimaste inalterate e sono soprattutto quelle autoctone, altre sono state migliorate geneticamente per ottenere una serie di risultati che le rendessero più adatte al commercio. Sul mercato influisce sempre l’impatto estetico e, nella fattispecie, vengono privilegiati i semi bianchi; si tratta, peraltro, di una convinzione che è importante scardinare per supportare, quanto più possibile, le produzioni autoctone.

La quinoa è conosciuta in primis per il suo utilizzo in cucina, che però non è l’unico. Foglie, gambi e chicchi, nelle Ande sono da sempre utilizzati dai popoli indigeni a scopo medicinale, per guarire ferite o ridurre i gonfiori ma anche per fermare le emorragie, per alleviare il dolore o come repellente per gli insetti. In quest’ultimo caso, il merito va alla saponina contenuta nei semi – la sostanza che conferisce il gusto amaro ai chicchi se non vengono lavati prima di essere mangiati. La saponina è molto versatile e viene usata, tra le altre cose, anche nella produzione di bio-pesticidi. L’amido della quinoa, invece, viene impiegato a livello industriale, nella produzione di aerosol oppure borotalchi e preparati per dolci, detersivi, saponi. Le proprietà della quinoa e la sua resistenza sono state molto apprezzate anche dagli scienziati della NASA, questa pianta si è rivelata perfetta per future missioni spaziali.

Una crescente richiesta del prodotto ha portato ad un inevitabile aumento della produzione, non sempre incrementata nella maniera corretta. La FAO, per questi motivi, ha stabilito quale sia l’approccio da seguire per portare avanti colture sostenibili e non avere effetti negativi sull’ambiente. La FAO supporta i coltivatori e cerca di mettere famiglie e comunità nelle condizioni di coltivare questa preziosa materia prima, particolarmente resistente ai cambiamenti climatici e in grado di migliorare l’alimentazione delle popolazioni locali (e non solo). Nelle Ande viene tutelata la produzione a conduzione familiare, legata al commercio equosolidale, in quanto permette di migliorare le condizioni di vita delle comunità autoctone. La produzione della quinoa richiede numerosi passaggi e molto lavoro ed è anche e soprattutto ai piccoli produttori che nel 2013 è stato dedicato l’Anno Internazionale della quinoa, voluto dalle Nazioni Unite per omaggiare e sottolineare la convivenza di questi popoli in armonia con la natura e la volontà di preservare la quinoa come alimento prezioso per le generazioni presenti e future. “La quinoa può giocare un ruolo importante per contrastare la fame, la malnutrizione e la povertà”, aveva dichiarato allora il Direttore Generale della FAO General José Graziano da Silva.

Il grano madre, oro delle Ande

 

Quella che tutti conosciamo e consumiamo di più è la “quinua real”, che viene coltivata prevalentemente sulle alture della Bolivia meridionale. La Bolivia, infatti, è il primo Paese esportatore di quinoa al mondo, seguita da Perù ed Ecuador. Le Ande sono una delle zone migliori in cui coltivare la quinoa, oltre ad essere quelle in cui se ne coltiva di più. Al di fuori dei confini sudamericani, sono gli Stati Uniti e il Canada a produrne in maggiore quantità. A cosa è dovuto il successo di questo pseudocereale? Prima di tutto al suo alto contenuto proteico. Il “grano d’oro delle Ande” ha gli stessi utilizzi alimentari delle graminacee, è un’ottima fonte di minerali – soprattutto ferro, zinco e magnesio – ma anche vitamina B, riboflavina e acido folico. È ricca di fibre e viene ampiamente utilizzata nelle diete prive di glutine, quindi è adatta ai celiaci o a chi segue diete gluten free. Quest’ultimo è uno dei motivi che l’ha portata ad essere popolarissima negli ultimi anni, oltre al fatto che per il suo apporto proteico è un valido sostituto della carne, per chi segue diete vegetariane e vegane.

La quinoa è sempre stata un alimento base per i popoli Quechua e Aymara in Sudamerica, dove la chiamano chisya (grano madre). La sua sopravvivenza nel tempo è merito della tutela da parte delle popolazioni indigene, oltre che dovuta alla sua grande capacità di adattarsi ad ogni tipo di suolo e di clima. La popolarità che la quinoa ha raggiunto in questi anni ha creato un po’ di preoccupazione. I consumi a livello locale non sono comparabili a quelli internazionali, che mettono a rischio interi territori e fanno aumentare il pericolo di desertificazione e comparsa di fitopatologie che, in presenza di una coltivazione controllata, non si erano ancora manifestate in modo preoccupante. La FAO ha già da tempo denunciato l’impatto che questa esportazione di massa può avere sulle popolazioni locali, privandole di un alimento che per secoli è stato alla base della loro alimentazione e della loro cultura. I pareri in merito non sono tutti uguali e, per quanto riguarda il Perù, uno studio ha sottolineato di come il commercio di quinoa ha di fatto migliorato le vite dei contadini, senza privarli di questo importante alimento. La situazione potrebbe essere variabile a seconda del Paese in cui la quinoa viene coltivata e subire continue trasformazioni nei prossimi anni, a seconda dell’andamento del mercato e di come si evolverà la coscienza dei consumatori.



Siamo ciò che mangiamo?

 

La quinoa è una questione identitaria e culturale, la sua produzione non è da considerarsi in senso strettamente gastronomico. Se un incremento delle coltivazioni ha garantito un minore tasso di denutrizione, lo stesso non vale quando si inizia a parlare di mercato e di prezzi. Questi piccoli semi conservano un enorme potenziale di riscatto per i coltivatori andini, che vanno supportati nel percorso di coltivazione e produzione. Il successo riscosso in questi ultimi anni dalla quinoa deriva anche da un processo di scolarizzazione e di informazione che ha permesso alle nuove generazioni di riscoprire e valorizzare il prodotto. Parlare di una materia prima significa anche parlare delle proprie radici, di riscoperta di determinati valori e di una tradizione alla quale le generazioni attuali si ritrovano indissolubilmente legati, con l’aggiunta di avere la garanzia di un’alimentazione più sana e correttamente bilanciata.

Nel corso del tempo la quinoa è stata penalizzata da un pregiudizio che si è portata dietro a lungo, come molti altri cibi. Nell’antichità il suo valore era già stato riconosciuto: gli Inca pensavano, infatti, che fosse un cibo erotico ed era destinato solo alle classi più alte, soprattutto a politici e religiosi. Furono gli spagnoli a scoraggiare le coltivazioni di quinoa, nel tentativo di scardinare le credenze religiose dei popoli andini e affermare il cristianesimo. Da quel momento in poi la quinoa è sopravvissuta solo grazie ad alcune famiglie che hanno nascosto i semi per tutelarla, prevenendone la scomparsa, e grazie alla sua capacità di resistere e crescere anche in ambienti meno favorevoli. La conseguenza dell’invasione spagnola è stata che per molto tempo la quinoa è stata considerata una materia prima per piatti poveri e perciò destinata alle fasce più basse della popolazione. Lo stesso è accaduto a lungo con i legumi, ma l’ondata di riscoperta degli ultimi anni ha portato a rivalutare questo prezioso pseudocereale e a un tentativo di recupero andato a buon fine. La quinoa esiste almeno da cinquemila anni e rischiava di essere spazzata via solo per una questione di pregiudizio.

Negli ultimi decenni c’è stata una crescita graduale della domanda di quinoa, fino ad arrivare all’esplosione di una vera e propria moda. Abbiamo visto che accade spesso, così com’è stato per l’avocado: un aumento della domanda equivale ad un aumento dei prezzi e questo causa un crollo di richieste da parte della popolazione locale, che deve rinunciare a un bene che da sempre ha fatto parte della sua alimentazione. Le fasce più deboli della popolazione, che avrebbero bisogno di un alimento a basso costo e al contempo nutriente come la quinoa, sono rimaste orfane dell’alimento. Un prodotto che ha tutte le carte in regola per essere sostenibile, con le coltivazioni intensive rischia di non esserlo più e penalizza le comunità autoctone. Queste ultime, non solo vengono private di un prezioso alimento, ma al contempo anche di tutto il bagaglio culturale che si porta dietro e della possibilità di raggiungere un’autonomia economica. Le coltivazioni hanno, perciò, un’enorme importanza sociale e la sua storia insegna quanto sia importante valorizzare il proprio territorio, tutelare la biodiversità e preservare la tradizione, ora più che mai. Il futuro del cibo è stato coltivato cinquemila anni fa.