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Essere Margaret

Postato il 4 Gennaio 2021 da Elide Messineo
Il 14 settembre del 1897 nasceva a Manhattan Margaret Fogarty. Promettente studentessa, la migliore del liceo, dopo gli studi Margaret iniziò a lavorare in banca, dove conobbe quello che di lì a poco sarebbe diventato suo marito, Henry Albert Rudkin. I due decisero di andare a vivere a Farfield, nel Connecticut, dove costruirono la loro casa nel terreno che avevano comprato per mettere su famiglia. Decisero anche di dare un nome alla loro tenuta, ispirandosi al bellissimo albero di Nyssa Sylvatica, che in autunno si tinge di tonalità gialle e arancioni, ribattezzandola Pepperidge Farm (come il nome dell’albero in inglese). Si trasferirono nel 1926 e, qualche anno dopo, le cose iniziarono a mettersi male per via della Grande Depressione. In quel periodo la coppia riuscì ad andare avanti vendendo mele e tacchini ma nel frattempo, dai problemi familiari, a Margaret venne un’illuminazione.

Il figlio aveva problemi di asma e reazioni allergiche ai cibi artificiali, in particolare il pane in cassetta. La madre, allora, decise di tirare fuori il vecchio libro di ricette della nonna, cimentandosi nella preparazione di un pane integrale fatto in casa, per vedere se la situazione migliorava. “Avrebbero dovuto mandare la mia prima pagnotta allo Smithsonian come campione di pane dell’età della pietra, tanto era pesante! Così ho ricominciato a farlo e dopo svariati tentativi, errori e prove, siamo arrivati a quello che sembrava essere un buon pane” raccontò la Rudkin, ricordando il suo primo tentativo. La situazione per il figlio migliorò così tanto che Margaret, entusiasta del risultato, propose al dottore che curava suo figlio di provare a fare lo stesso con altri pazienti, sperando di ottenere gli stessi benefici.

Baking Bread

La storia di molti prodotti di successo – come la Coca-Cola, i corn flakes o i Graham crackers – inizia con la ricerca di soluzioni legate alla salute, per poi diventare fenomeno pop. Allo stesso modo ebbe inizio la storia di Pepperidge Farm, oggi un marchio conosciuto non solo negli Stati Uniti come uno dei principali produttori di snack e altri prodotti da forno, come cookies e i celebri goldfish, pesciolini al formaggio cheddar. Inutile dire, a questo punto, che le richieste di pane aumentarono così tanto che nel giro di quattro mesi, vedendo quanto bene andavano le vendite, Margaret e il marito decisero di fare una capatina a New York. In pochi anni, i prodotti provenienti dalla Pepperidge Farm divennero così richiesti che si passò dalla cucina al garage (immancabile per una vera storia americana di successo) fino alla produzione industriale, nel 1940 a Norwalk, e poi la prima attività commerciale nel 1947. Margaret raccontò di non aver mai preparato nulla prima di allora, ma la salvezza fu il libro di ricette della nonna oltre alla sua tenacia. Decise di disegnare anche l’impianto di lavorazione e di progettare l’intero processo di produzione, rallentando ma senza mai crollare del tutto anche durante il difficile periodo della Seconda Guerra Mondiale in cui, a causa dei razionamenti, c’era meno disponibilità di materie prime.

Un’altra intuizione di Rudkin fu quella di iniziare a mostrarsi in tv, tramite le pubblicità, e lo fece a partire dal 1950. Di pari passo la linea di prodotti si arricchiva, arrivavano proprio allora i leggendari pesciolini dorati, i Goldfish, che oggi sono ancora uno snack amatissimo, soprattutto dai più piccoli. Margaret Rudkin divenne un vero e proprio punto di riferimento e tenne anche un discorso ad Harvard a proposito della sua attività di produzione, per non parlare della pubblicazione di The Margaret Rudkin Pepperidge Farm Cookbook, che divenne un bestseller su scala nazionale. I libri di ricette erano popolari già all’epoca e portavano spesso la firma di donne, ma difficilmente queste avevano avuto la stessa popolarità della Rudkin che, per i tempi che correvano, fu rivoluzionaria. Per la prima volta un libro di ricette finiva nella classifica dei best seller del New York Times. Nel 1961, dopo aver portato l’azienda di famiglia all’apice del successo, Rudkin decise di fare la mossa successiva: venderla per circa 28 milioni di dollari alla Campbell Soup Company (sì, quella della zuppa di Andy Warhol). Fu così che la Rudkin diventò la prima donna a far parte del consiglio di amministrazione della Campbell, che già allora era una multinazionale di enormi dimensioni. Nonostante la vendita, Rudkin rimase legata alla Pepperidge fino al 1966, anno in cui si spense, all’età di 69 anni, a causa di un cancro al seno.

A dispetto della cultura del suo tempo, Margaret Rudkin si distaccava completamente dall’immagine della casalinga impegnata tutto il giorno nelle faccende domestiche, intenta a cucinare per far trovare un pasto pronto al marito di ritorno dal lavoro. Nonostante tutto sia partito dalla cucina di casa e per amore del figlio, la Rudkin aveva saputo scollegarsi da un ruolo fortemente stereotipato, offrendo un’immagine alternativa, di una donna di successo capace di distinguersi in un ambiente dominato da figure maschili. Margaret era riuscita a trasformare la sua attività in un successo incredibile e soprattutto a far percepire i suoi prodotti come più sani, il ché si rivelò perfetto per il target a cui si rivolgeva, che era quello delle donne, conquistando non solo le casalinghe nella loro connotazione più classica, ma anche quelle che col passare degli anni iniziavano ad essere sempre più impegnate e lanciate nel mondo del lavoro e non avevano il tempo di preparare il pane in casa. Ad alimentare le sue intuizioni furono i viaggi in Europa, in particolare in Svizzera e a questo si aggiungeva la sua capacità di trasformare ogni avversità in una nuova opportunità. Tenace quanto basta da concedersi un pizzico di rischio e anticipatrice dei tempi, la Rudkin introdusse anche i primi dolci surgelati sul mercato. Parlando del suo successo, lei stessa riconobbe che si trattava di una perfetta combinazione di qualità e tempismo. Girando per i suoi viaggi, la Rudkin si lasciava ispirare dalle ricette in cui si imbatteva: tutto era partito da quelle della nonna, che aveva origini irlandesi, ma passava per la Svizzera e anche per il Belgio e l’Italia (i biscotti Brussels e i Milano della linea Distinctive sono amatissimi, per esempio).



Sempre un passo avanti

In un articolo di Mary Uyehara pubblicato su Taste, viene sottolineato di come Margaret Rudkin sia stata una figura importantissima per il periodo storico in cui è vissuta. Uyehara fa un lungo elenco di iniziative intraprese dall’imprenditrice, che aveva valorizzato moltissimo la figura della donna in un ambiente lavorativo. Lei stessa, dopotutto, aveva lavorato in un ambiente fortemente maschilista e non era certo scontato che negli anni Quaranta incitasse le donne a mettersi in attività da sole. Iniziò ad assumere casalinghe, sottolineando di come fossero tranquillamente in grado di occuparsi sia del lavoro che della casa, portando a casa uno stipendio. Adesso può sembrare strano – e purtroppo non per tutti – ma all’epoca quello che la Rudkin diceva e faceva era tutt’altro che scontato. Così come non era scontato che concedesse alle sue dipendenti orari di lavoro flessibili: le donne nubili preferivano lavorare al mattino presto, quelle sposate preferivano iniziare più tardi, per potersi occupare anche dei figli. Nel 1942, in un’intervista all’Edinburg Daily Courier Margaret Rudkin disse che non credeva ci fosse un lavoro che una donna non potesse fare. Un’altra cosa non banale che la Rudkin aveva capito prima di molti altri (e che dichiarò nei primi anni Cinquanta) fu che i figli di madri lavoratrici crescevano più responsabili e maturi, capaci di adattarsi maggiormente. Non erano certo quelli gli anni in cui l’intuito femminile veniva valorizzato, soprattutto se ci soffermiamo nell’ambito di invenzioni e innovazioni. Margaret Rudkin, a dispetto del suo tempo, riuscì a diventare un caso emblematico e popolare già allora, non riscoperto solo diverso tempo dopo. Lo stesso non si può dire di altre figure, che emergono con maggiore prepotenza (e potenza) solo oggi, in un momento storico in cui, nonostante i molti passi avanti da compiere, la donna si sta ritagliando sempre più spazio, rivendicando i propri (sacrosanti) diritti.

È all’intuito femminile che si devono alcune innovazioni che oggi ci rendono la vita più comoda. Lo stesso vale per scoperte e invenzioni che affondano le loro radici ancora più indietro nel tempo, come l’agricoltura, la tessitura e l’utilizzo di ceramica e terracotta. Gli studi suggeriscono che siano state proprio delle donne a scoprire queste attività, anche perché erano proprio loro ad occuparsene prevalentemente. Solo chi è vicino a una determinata realtà, dopotutto, può conoscerla talmente bene da saperne cogliere i difetti e pensare alle possibili migliorie da apportare. Così Josephine Garis Cochrane nel 1886 pensò che fosse indispensabile riuscire ad avere una lavastoviglie in casa (allora azionata manualmente), migliorando la versione di legno già esistente. Al contrario di quanto si possa pensare, non era una casalinga in cerca di una soluzione pratica ma una donna ricca, che teneva moltissimo ai suoi piatti e temeva che venissero rovinati dai domestici, o che non venissero lavati abbastanza bene. Cochrane amava organizzare cene con numerosi ospiti e per questa sua necessità, dalla quale è scaturita la scintilla per l’invenzione, ancora oggi milioni di persone ringraziano. E i sacchetti di carta? Sempre utili, soprattutto quando si va a fare la spesa. Un’altra Margaret, in questo caso Knight, nel 1860 progettò la macchina per produrre sacchetti di carta a fondo piatto. Charles Annan, però, la brevettò prima di lei. A quel tempo, ancor più che nell’epoca in cui visse la Rudkin, era facile convincere tutti che una donna non potesse essere capace di tanta inventiva. Dovette passare un po’ di tempo prima che la Knight fosse riconosciuta ufficialmente come l’ideatrice del prototipo (e di altre 85 invenzioni).

Uscendo dal mondo della cucina non è difficile trovare esempi simili, come la storia di Margaret (un nome ricorrente) Keane raccontata anche da Tim Burton nel film “Big Eyes”, dove la pittrice ha il volto di Amy Adams. La sua storia è piuttosto nota nel mondo dell’arte, negli anni Sessanta il clamoroso furto artistico da parte del marito, Walter Keane, fece il giro del mondo. Le opere di Margaret Keane sono facilmente riconoscibili per via dei grandi occhi dei personaggi ritratti, da cui deriva il titolo del film. La pittrice inizialmente si convinse che, in quanto donna, non avrebbe avuto successo nel mondo dell’arte. Fu Walter Keane a vendere le opere, rivendicandone la paternità fin quando, nel 1970, la donna non dichiarò pubblicamente la verità. Prima che fosse riconosciuta a tutti gli effetti come l’autrice delle opere, tuttavia, la Keane dovette dimostrare di fronte al giudice di essere in grado di dipingere secondo lo stile per cui le opere avevano ottenuto successo.

Ingegneria is for boys? Non secondo Lillian Gilbreth, la prima donna ad entrare nella National Academy of Engineering, ovvero la prestigiosa accademia nazionale di ingegneria degli Stati Uniti. Nessuno più di lei, madre di 12 figli (!), poteva desiderare di migliorare la qualità della vita, inclusa quella nella cucina di casa, sfruttando l’applicazione congiunta di psicologia e ingegneria. Immaginate quanto potesse essere indaffarata il giorno in cui le venne l’illuminazione per creare la pattumiera a pedale. A lei dobbiamo anche il frullatore elettrico, un enorme risparmio di tempo e di energie, e fonte di svariate golosità, come gli smoothie. A proposito di golosità, Nancy Johnson nel 1943 brevettò la gelatiera, facendo la gioia di tutti coloro che fino ad allora avevano dovuto lavorare manualmente il ghiaccio. E facendo la fortuna di molti gelatai.

Se in questo mondo di inventrici c’è una figura tornata alla ribalta (si fa per dire, poiché la sua storia è molto più recente), quella è la casalinga di successo per eccellenza: Joey Mangano. La sua storia è arrivata perfino sul grande schermo, dove ad interpretarla c’è l’attrice premio Oscar Jennifer Lawrence. L’idea che l’ha resa un’imprenditrice miliardaria è stato il Miracle Mop, il mocio che si può strizzare nel secchio. Era il 1993 quando la donna italo-americana decise di proporre la sua idea, che oggi ci sembra banalissima e scontata. Vuoi mettere il vantaggio di non dover strizzare lo straccio con le mani per lavare i pavimenti? Anche nel caso di Joey Mangano, l’intuizione nasce da una situazione di difficoltà economica – oggi ha all’attivo oltre 70 brevetti, ma il Miracle Mop rimane la sua invenzione più celebre. Ripensando alla sua idea, tanto semplice quanto utile, Mangano ha dichiarato: “Sono una mamma, ho una casa da pulire, cose da organizzare. Abbiamo bisogni simili, per questo mi rivolgo alle altre donne come me”. Nel 2000 i Miracle Mop arrivarono a fruttare circa dieci milioni l’anno. Mica male, eh?